IL TEMA DEL LAVORO NELLA LETTERATURA LATINA Fedro il poeta degli umili e Seneca


Nella letteratura latina il tema del “lavoro” era presente già ai tempi della dinastia Giulio-Claudia; molti autori latini inserivano l’argomento nelle opere poiché queste avevano, nella maggior parte dei casi, scopi ben precisi come educare il pubblico o volgere una critica alle classe più abbienti e allo stesso imperatore. Ad occuparsi  della denuncia alle classi abbienti fu un’autore proveniente dalla Macedonia, deportato a Roma come schiavo e successivamente divenuto liberto, ovvero Fedro. Egli, nonostante non fosse ben visto dalla società romana per la sua classe sociale e non fosse ben considerato dagli autori del tempo, scrisse un’opera ispirandosi alle Favole di Esopo, le “Fabulae” (Apprendix Perottina) composte da 5 libri e appartenenti ad genere letterario della favolistica, considerato al tempo “minore”. Fedro è stato definito poeta degli umili, in quanto nelle sue favole si schiera sempre dalla parte dei più deboli, denunciando i soprusi che essi subiscono; in particolare fa riferimento agli schiavi e ex schiavi che come lui vengono mal visti dalla società romana.

Il primo racconto appartenete alle Fabulae, intitolata “Lupus et agnus” mostra che qualsiasi tentativo di ricorrere alla giustizia è vano contro i prepotenti: l’innocenza non tutela il mite se il forte vuole nuocergli.


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In uno dei passi più significativi ed originali delle Epistulae a LuciliumSeneca affronta il tema della schiavitù secondo la visione  Stoica.

Il filosofo condanna il rapporto che fino ad allora era intercorso tra padroni e schiavi, nel quale vi era una subordinazione, sia dal punto di vista psicologico che fisico, totale del servo nei confronti del padrone.


In antitesi a ciò, ed in linea con i dettami della filosofia stoica, Seneca sostiene l’uguaglianza tra liberi e schiavi dal punto di vista del diritto naturale, affermando che ogni uomo nasce dallo stesso seme, gode dello stesso cielo e vive, respira e muore allo stesso modo.

Dunque, alla luce di ciò, il padrone deve vivere con il suo servo “clementer et comiter”, dandogli la possibilità di parlare, di occupare posti di importanza e anche di esercitare la giustizia, in quanto ogni uomo deve considerare che l’unica differenza che può intercorrere tra due uomini di diversa condizione è data dalla fortuna che assegna ad ognuno un determinato destino.


«Uno schiavo può essere giusto, può essere forte, può essere magnanimo: dunque può anche concedere un beneficio, poiché anche questo è proprio della virtù.”


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